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La strada uccide, la giustizia seppellisce

La strada uccide, la giustizia seppellisce

Uno scooter innesca un incidente, senza dare la precedenza. Un ragazzo muore. Il pilota-assassino scappa e torna qualche ora dopo, ammettendo l’omissione di soccorso e riconoscendo le proprie colpe. Per la giustizia italiana, non è successo niente: la manovra dello scooter è stata “l’occasione dell’evento letale”, non “una concausa”. L’assassino è stato prosciolto. Richiesto il rinvio a giudizio del commerciante abusivo delle bici.

La differenza tra l’occasione di un evento letale e una concausa è una questione di retorica: peccato che la retorica non possa restituire la vita a un innocente. La legge dovrebbe rendergli giustizia: ma non avviene. E così, nel disinteresse relativo dell’amministrazione capitolina, sfogliamo una nuova pagina di vergogna. I fatti: nel gennaio 2006, in via Portuense, un incidente stradale uccide il giovane Giuseppe Genovese, brillante studente universitario; i responsabili sono l’allora minorenne Claudio Levis, che esce da una piazzola senza dare precedenza e poi scappa senza prestare soccorso, e un negoziante, che espone biciclette sulla carreggiata opposta, senza autorizzazione. Genovese, per evitare lo scontro, ha infatti invaso l’altra corsia e urtato diverse biciclette e un triciclo, piombando infine su una macchina parcheggiata, di proprietà del negoziante abusivo.

2006. Nel complice silenzio dei nostri rappresentanti politici (sino ai giorni della Giunta Alemanno: va ribadito. Grazie All’azione dell’On. Federico Guidi), ma non dei media (Famiglia Cristiana, “Cominciamo bene” e “Festa Italiana” della Rai, Il Messaggero), la pirateria e l’abusivismo uccidono: qualche anno dopo, l’abusivismo chiede i danni e la pirateria viene prosciolta. Il Levis viene prosciolto dal delitto di omicidio colposo perché il fatto non sussiste. E dire che esistevano relazioni della Polizia Stradale, testimonianze oculari, relazioni del CTU. E dire che esiste un Codice della Strada. E dire che i vigili del XVI Municipio erano intervenuti con appena due ore e mezza di ritardo sul luogo dell’incidente: evitando di consegnare i rilievi fotoplanimetrici, a dispetto di ripetute richieste del PM e degli avvocati, negli anni. Evitando di denunciare l’omissione di soccorso: evitando di lavorare con onestà. A quanto pare, per la legge il motorino del giovane “incauto” centauro, Levis, aveva violato soltanto due leggi: non aveva lo specchietto e ospitava un altro passeggero. Le proibite e mortali inversioni di marcia non hanno più importanza, si vede. Capitano. Certo: “in assenza di manovra di svolta del Levis il sinistro non si sarebbe verificato”. Ma è stata soltanto un’occasione, mica una concausa. Azzeccagarbugli è redivivo, e detta legge. I cittadini, allora, hanno pieno diritto di rivendicare giustizia.

L’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio è arrivata dopo innumerevoli sforzi: si direbbe quasi che il PM, sin dall’inizio, fosse intenzionato ad archiviare. Non aveva nominato nemmeno un perito del tribunale: alla prima udienza preliminare il gup dopo aver disposto un sopralluogo è stato costretto a rimettere il fascicolo al PM che aveva sbagliato il capo d’imputazione. Dopo altre due anni, il PM nomina un CTU, che addebita la responsabilità inequivocabile dell’incidente alla manovra del Levis, ed alle bici la causa del tragica scomparsa del giovane GIUSEPPE. Nell’udienza del 17 marzo 2009, per un curioso scherzo del destino, il giudice non era più lo stesso e il PM era malato. Succede. Succede che il centauro assassino venga assolto perché proveniva da destra, poco importa se la sua destra è una piazzola di parcheggio. Ma le cose devono cambiare. Noi cittadini pretendiamo cose semplici. Il rispetto delle regole, la fine delle connivenze tra abusivi e amministrazione, la tutela della vita. Prima di tutto. Una giustizia che si dimostri capace di far rispettare la legge: in assoluto.

E allora ecco il ricorso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori e presso il Procuratore Generale Della Corte D’Appello. Confidiamo nella giustizia, in attesa della legge.

g.f.

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